L’evoluzione dell’intrattenimento: dai videogiochi alla realtà virtuale
L’antesignano della realtà virtuale. La versione “primate” del personal computer. L’antenato del gioco condiviso, e del concetto di condivisione stesso.
Il videogioco. Questa parola ormai ricollegata esclusivamente alle console iper-avveneristiche o alla portabilità dei giochi direttamente sugli smart phone, fino a qualche anno fa significava ancora “giocare insieme”.
La versione originale prevedeva una console gigantesca, alta quanto un adulto, su cui un ragazzino quasi si arrampicava pieno di entusiasmo per muovere un joystick e pigiare quattro tasti e poter guidare i suoi personaggi di fantasia preferiti nelle loro avventure.
Le “sale giochi”, un luogo di ritrovo sociale che oggi trova la sua traduzione in angoletti angusti di bar e caffetterie dove adulti afflitti e viziosi trovano sfogo alla loro quotidianità rimanendo incollati per ore alle slot machine. La sala giochi era il luogo di svago più moderno nell’era delle biglie, del Super Santos e delle figurine dei calciatori. L’evoluzione del videogioco ha visto queste situazioni tramutarsi in un’effettiva escalation verso la reclusione sociale, la chiusura mentale e l’apertura verso nuovi orizzonti (virtuali).
Il progresso tecnologico è andato oltre il concetto di intrattenimento. Ha preso il connubio utile-dilettevole e lo ha trasformato semplicemente in dilettevole. Non ci sono limiti. La fantasia dei ragazzini, che rappresenta la capacità del cervello di elaborare anche ciò che non vede e di rafforzare la sfera del ragionamento, è soppressa dalla mancanza di limiti in ciò che si può vedere. Il videogioco moderno ha raggiunto la possibilità di condivisione, di elaborazione tattile, di cognizione sensitiva a 360°.
Per chi ha la passione per i videogame, la cabina gigante della sala giochi stile anni ’80-’90, antica memoria di intrattenimento, lascia il posto alle console casalinghe (che già impongono l’isolamento individuale o di gruppo nel migliore dei casi). Successivamente si passa al “gameboy”, prototipo di intrattenimento portatile, accompagnato dai primi videogiochi su disco rigido per i primi personal computer. Le sue funzioni ben presto si trasferiscono sui primi telefoni cellulari, che con il giochino “snake” aggiungono la prima funzione non inerente ad un cellulare. Da lì agli smart phone il passo è stato breve, ed oggi tutti conosciamo le conseguenze.
Tutto ciò che esisteva come semplice intrattenimento è ora trasposto sugli smart phone. I videogames cosi come si intendono sono divenuti qualcosa di più. Non si può più parlare di semplice intrattenimento.
La realtà virtuale è l’ultima inconfondibile forma evolutiva del videogioco. L’intrattenimento è costituito dall’immergersi in un’altra realtà. Tanto basta. Si è così annoiati dalla realtà che viviamo che si ambisce sempre di più all’illusione, alla fuga da un qualcosa che non sappiamo più controllare e che rispecchia sempre più le nostre paure.
L’uomo è un animale che ha bisogno di recinzioni. Sono necessari dei limiti. Senza limiti, c’è l’anarchia e con essa l’uomo è consapevole di non essere al sicuro. Ecco che l’unico luogo sicuro diventa la realtà illusoria che siamo capaci di ricreare tramite la tecnologia.
David Cronenberg nel suo cinema, attingendo anche da maestri della letteratura fantascientifica, ha sempre indagato il rapporto e addirittura il legame che può instaurarsi tra uomo e macchina, tra carne e circuiti. Oggi più che mai siamo vicini a questo tipo di utopia, rincorrendo la voglia di perfezione e di potere, il potere di controllare la realtà.
Il videogioco da sempre rappresenta la fuga da una realtà difficile da interpretare ed affrontare, ma dovremmo ricordarci quanto può essere bella da esplorare.